Quantcast
Channel: Serialmente » pulp
Viewing all articles
Browse latest Browse all 3

Banshee – 2×09 – Homecoming

$
0
0

- Listen, Emmett, there are rules,and then there’s what’s right.
- And then there’s God.
- Yeah, God kind of takes all the fun out of the argument.
Lucas Hood, maestro di filosofia.

La forza di Banshee risiede nella totale autoconsapevolezza, nell’accumulo di figure e tipologie di genere mescolate con tale velocità d’esecuzione e consumo da lasciarti inchiodato alla poltrona del salotto incapace anche di chiederti se il tutto abbia senso o meno. Mi chiedo spesso se Tarantino gli abbia dato un’occhiata e cosa ne pensi a riguardo.

Prendiamo la sparatoria in ospedale. Banshee se ne frega del realismo, pensa a spopolare i corridoi di un ospedale di New York solo per dare più agio ai nostri di scaricarsi una pioggia di proiettili addosso. O a far entrare e uscire Burton, il tirapiedi di Proctor, da una stanza dove ha appena soffocato un uomo con la flebo (bye bye nazi dell’altro episodio), nonostante i macchinari collegati alle sue funzioni vitali impazziscano peggio di un flipper al momento della vittoria, e andarsene a passo tranquillo incrociando un gruppo di medici e infermieri accorsi a salvare un morto. Quest’anno il rafforzamento di queste smargiassate sta quasi tutto nella maggiorata coerenza narrativa, con diretta espansione dei collegamenti nel running plot (il detective nero dei flashback riconosce Hood, che poi riesce a sfuggirgli, ci mancherebbe). E non solo.

Per ogni personaggio ci si concentra su un elemento particolare, di varia natura, che lo definisca più di ogni altra cosa. A cominciare proprio da Burton che ha assunto sin da principio una fisionomia a contrasto, giocata sul classico senza appiattirsi sullo stereotipo. L’accorgimento degli occhiali (che fanno il paio col vestito impeccabile), è una semplice nota di distrazione di massa, così come lo era per Kent/Superman: non a caso vengono tolti ogni volta che si vede costretto ad accorciare la vita a qualcuno.

All’opposto si punta sull’esagerazione dell’esagerazione. Non è raro che si finisca a misurazioni più o meno metaforiche delle appendici pendule, specie per stabilire chi sia più riprovevole. Julian Sands non è solo un prete poco “ortodosso” che protegge Rabbit, ma il vero mostro, che mette la strizza pure al fratello. Altro che porgere l’altra guancia. D’altronde come potrebbe mettere radici un tale precetto evangelico nell’universo di Banshee? Qui non c’è posto per i sermoni né per i dubbi. Meglio che lasci la città e te ne vai in Florida se tentenni nell’eseguire la giustizia, alias menare mazzate come fosse l’Apocalisse senza filosofeggiare troppo su colpe e sistemi di equilibrio legale. Chi agisce per vie legali è un poveraccio: guardate la vita di Gordon.

Eppure una delle forze di Banshee sta anche la sua voglia di sperimentare, di andare oltre se stesso e non impantanarsi. A volte funziona, altre meno. Al montaggio, stanno ancora sbollendo l’esaltazione orgiastica: gli effetti si stanno riducendo, ma insieme alle sfasature temporali ora fa il suo prepotente ingresso – a Banshee neanche le trovate stilistiche si pigliano la briga di bussare – il montaggio parallelo tra due azioni, insistito e protratto più del necessario. Una roba che deve stordirti con quanti più eventi possibili che devono piovere come i cazzotti di Hood o la sequenza iniziale, come se non ci fosse un domani coi postumi delle percosse. Ma la regia è sempre eccellente, a cominciare dai carrelli che inseguono, seguono, acciuffano il punto di vista di Job nell’incipit che ti fa sprizzare adrenalina pure dalle orecchie. Adrenalina e machismo sono i due pass per la serie. Le esibizioni di virilismo si sprecano. Qui vige un po’ la filosofia di Cetto la Qualunque: «è un attimo che ti fermi a un semaforo e ti pigliano per ricchione». E a Hood questo non piace, come non gli piace passare un solo episodio senza bombarsi almeno una signorina, anche se da un po’ di tempo si è concentrato solo su Siobhan (per modo di dire, sempre al netto di Ana, ma quella è una cosa che i maschi alfa neanche mettono in conto: il sesso occasionale è necessario a carburare i cazzotti e incanalare l’ormone; ma l’ammore è sempre l’ammore).

Eh già, perché, proprio a dispetto della sua natura, comunque è un po’ che a Hood gli stanno grattando via un po’ di rudezza. Ultimamente anche la sua sintassi si sta aprendo al punto di riconoscere la subordinazione. Sarà l’affetto per Siobhan, sarà che si sente un po’ addosso gli anni, ma la lingua gli si è sciolta. Certo, sempre di fronte a una donna che tiene addosso solo una canotta e un paio di mutandine (notare peraltro la preferenza di Hood/Banshee per le belle donne dalle tette piccole – anche questa è coerenza stilistica, non facciamo i parrucconi criticoni). Ma tutte le belle chiacchiere vanno in fumo appena si presenta l’occasione di un’altra dose di azione. Quando squilla il telefono e l’adrenalina chiama sotto forma di amico in pericolo mortale, tanti saluti carissima donna, Hood deve andare a spaccare la quota settimanale di culi. C’è una reputazione da difendere, bambola.

E qui gli autori dimostrano di voler anche uscire dal bozzolo, letteralmente. Certo, puntare su New York va bene per una frazione di puntata, giacché, seppure la trasferta si possa dire del tutto riuscita, la forza di Banshee resta Banshee, col suo intrico di segreti e bugie da provincia. E le sue aperture soap. Homecoming è perfetto nel mettere in scena la rivelazione di Ana sulla reale paternità della figlia. Tutto scandito secondo il tipico schema: i toni si alzano, la musica pure, le minacce non ne parliamo. È chiaro che sta arrivando un’onda (che si rivelerà di merda, più o meno a breve, probabilmente), eppure i personaggi riescono a farla esplodere con maggiore forza di quanto ci aspettassimo tutti. Ana procede veloce come la serie e taglia corto. Per un attimo pure Hood sembra sorpreso come noi. Chiaramente, due secondi dopo sta già mettendole il pepe al culo per filare in macchina e correre da Job.

E per stanare il coniglio. Manca ormai un solo episodio al finale e il confronto sembra sempre più vicino. Anche se è difficile predire se venerdì ci sarà lo show down definitivo o se la lotta con Rabbit e il fratello continuerà l’anno prossimo. La ragionevolezza farebbe presupporre che non si possa risolverla in cinquanta minuti. Ma qui siamo a Banshee e Banshee con le rivelazioni e i colpi di scena e le morti di una stagione regolare ci fa mezzo episodio appena, per paura che i suoi personaggi si addormentino o che l’erezioni gli si ammoscino.

Nonostante ciò – o forse proprio per questo – la serie cambia ancora, proprio come il suo protagonista, fa di testa sua, con la stessa impulsività. Hood parla di più e filosofeggia pure con Siobhan, con Brock (intenso il loro scambio, puro distillato virile da scenario western), con Emmett (you’re a good man, gli dice l’agente e forse ha ragione – Hood è l’emblema del malvivente scassato che fa tutto però per salvare onore, deboli e amore). Ma la tendenza investe pure Proctor, protagonista con la madre di un dialogo a suo modo commovente (che ovviamente dura poco, incastrato tra una sparatoria e l’altra). Rebecca è un personaggio sempre più ambiguo e sempre più vestito – anche se in mancanza d’altro figuriamoci se ci danno un episodio di Banshee senza nudi, sarebbe come scordarsi le vitamine: Ivana Milicevic si sacrifica nuovamente per la quota e per la nostra giuoia immensa. Perché Banshee è così, capace di spingersi e allargarsi, toccando generi anche nuovi, ma senza mai scordare da dove viene, senza mai rinunciare alla propria natura, senza mai fermare la propria rombante turbina.

L'articolo Banshee – 2×09 – Homecoming sembra essere il primo su Serialmente.


Viewing all articles
Browse latest Browse all 3

Latest Images

Trending Articles